Intelligenza artificiale ed emozioni. Cosa ci riserva il futuro.

Intelligenza artificiale ed emozioni. Cosa ci riserva il futuro.

Che peso hanno le nostre emozioni nelle nostre azioni quotidiane, nei nostri consumi, nelle nostre convinzioni?

Le emozioni sono il significato più intimo e profondo nella nostra vita, pilotano i nostri pensieri, condizionano le nostre giornate e persino il pensiero politico. Ci emozioniamo costantemente, davanti alla vetrina di un negozio o quando facciamo la spesa al supermercato, al cinema come davanti a una serie tv. Le emozioni sono il motore delle nostre azioni. E le aziende lo sanno bene al punto che la comunicazione verbale viene affiancata o sostituita dalla comunicazione grafica e fisica, molto più contagiosa dal punto di vista emozionale.

Tu chiamale, se vuoi, emozioni.

Si chiama Affective computing, è il ramo dell’Intelligenza Artificiale che sviluppa tecnologie in grado di riconoscere ed esprimere emozioni. In virtù di questa nuova prospettiva dove l’intelligenza artificiale classica si integra con l’intelligenza emotiva si parla oggi di Intelligenza Artificiale emotiva, ovvero della combinazione tra intelligenza emotiva e intelligenza artificiale. Secondo Marvin Minsky, pioniere informatico dell’intelligenza artificiale, “l’emozione non è particolarmente diversa dai processi che chiamiamo pensare”. Se dunque le macchine hanno un “pensiero intelligente” potranno imparare ad esprimere emozioni con tecniche di apprendimento autonomo quali il machine learning.

 

Già oggi diverse aziende lavorano sullo sviluppo dell’affective computing, sviluppando programmi capaci di riconoscere un volto umano in tempo reale, capaci di identificare le espressioni facciali e collegarle a emozioni comuni come la tristezza, la rabbia o la felicità. Si tratta di tecnologie altamente sofisticate che operano il riconoscimento attraverso sensori passivi che analizzano le espressioni facciali, la postura, la gestualità del corpo, il tono di voce. Questi segnali emotivi, una volta registrati, vengono trasferiti a sistemi di reti neurali che autoapprendono (machine learning o deep learning) e li restituiscono con etichette corrispondenti agli stati emotivi: gioia, paura, rabbia, stupore. Leggeranno i nostri umori e, ad esempio, se sembreremo loro tristi o giù di morale ci faranno ascoltare dallo smartphone una canzone allegra o a noi cara per farci stare meglio.

Ma il futuro cosa ci riserva?

Si chiama Affective computing, è il ramo dell’Intelligenza Artificiale che sviluppa tecnologie in grado di riconoscere ed esprimere emozioni. In virtù di questa nuova prospettiva dove l’intelligenza artificiale classica si integra con l’intelligenza emotiva si parla oggi di Intelligenza Artificiale emotiva, ovvero della combinazione tra intelligenza emotiva e intelligenza artificiale. Secondo Marvin Minsky, pioniere informatico dell’intelligenza artificiale, “l’emozione non è particolarmente diversa dai processi che chiamiamo pensare”. Se dunque le macchine hanno un “pensiero intelligente” potranno imparare ad esprimere emozioni con tecniche di apprendimento autonomo quali il machine learning.

 

Già oggi diverse aziende lavorano sullo sviluppo dell’affective computing, sviluppando programmi capaci di riconoscere un volto umano in tempo reale, capaci di identificare le espressioni facciali e collegarle a emozioni comuni come la tristezza, la rabbia o la felicità. Si tratta di tecnologie altamente sofisticate che operano il riconoscimento attraverso sensori passivi che analizzano le espressioni facciali, la postura, la gestualità del corpo, il tono di voce. Questi segnali emotivi, una volta registrati, vengono trasferiti a sistemi di reti neurali che autoapprendono (machine learning o deep learning) e li restituiscono con etichette corrispondenti agli stati emotivi: gioia, paura, rabbia, stupore. Leggeranno i nostri umori e, ad esempio, se sembreremo loro tristi o giù di morale ci faranno ascoltare dallo smartphone una canzone allegra o a noi cara per farci stare meglio.

Le emozioni non hanno simpatia per l’ordine fisso. Yukio Mishima.

Il mercato è dunque proiettato verso lo sviluppo di intelligenze artificiali emotive, di conseguenze le aziende stanno andando nella direzione di integrare efficacemente l’empatia nelle nuove tecnologie. Così l’intelligenza artificiale sarà sempre più simile a quella umana nella speranza, ricordando il grande Stephen Hawking il quale auspicava che la più importante conquista dell’uomo, l’Intelligenza Artificiale appunto, non fosse l’ultima.

 

Anni fa rimasi colpita dal film “Her” di Spike Jonze, il cui protagonista soffriva e mentiva spudoratamente temendo di ferire i sentimenti della sua fidanzata virtuale. Forse si trattava di una possibilità che non avevo ancora esplorato mentalmente. Oggi invece ritengo che l’IA abbia un potenziale enorme, e che le sue applicazioni possano portare a decisi miglioramenti nella nostra vita di tutti i giorni. Pensiamo ad esempio all’ambito della salute, a quanto il riconoscimento delle espressioni facciali possa giovare a medici e infermieri per monitorare lo stato di salute dei pazienti e garantire terapie sempre più accurate e personalizzate. Anche il customer service e la customer experience potranno avere nuovi e importanti sviluppi di business. Robot e assistenti vocali vari potranno interfacciarsi con noi utenti e fornirci assistenza con un’attenzione specifica al nostro stato emotivo, rassicurandoci quando saremo arrabbiati o stimolandoci quando saremo pigri, e lo faranno con voce calda, naturale e “umana”, molto meglio di tanti odierni call center.

 

Da ultimo ma non meno importante, l’impatto dell’intelligenza artificiale emotiva nella comunicazione pubblicitaria. Saper analizzare l’impatto degli annunci pubblicitari sul pubblico diventa decisivo per gli investitori. Capire cioè quali emozioni si collegano ad uno spot e soprattutto se sono le emozioni desiderate dal brand. In questa direzione lo storytelling aziendale potrà sposarsi bene con l’intelligenza artificiale in ottica di personalizzazione massima dei prodotti: lo stesso brand potrà proporre il modello X ad una persona e il modello Y al suo amico, variando cioè la narrazione ma in modo sempre pertinente e targettizzato sul destinatario cliente, del quale già si conoscono gusti, comportamenti, stato sociale e stato emotivo. Insomma, la storia giusta per il giusto cliente.

Giorgia Salamini
Digital Marketing thedotcompany