Data Science e umanesimo per il post coronavirus.
Data Science e umanesimo per il post coronavirus.
Il 30 dicembre 2019 la società statunitense BlueDot, che utilizza sistemi di machine learning per monitorare le epidemie di malattie infettive in tutto il mondo, avvisa i clienti, tra cui governi, ospedali e aziende, di un insolito aumento di casi di polmonite a Wuhan, in Cina. Soltanto nove giorni più tardi l’Organizzazione Mondiale della Sanità segnala ufficialmente ciò che tutti noi conosciamo come Covid-19. Può sembrare sorprendente ma è stata una intelligenza artificiale a scovare un focolaio dall’altra parte del mondo.
In Italia, la notizia di questi ultimi giorni (scriviamo questo articolo a fine marzo 2020, ndr) è la decisione del Governo di far vita a una task force che grazie a tecnologie digitali aiuterà a contenere la diffusione del virus. Seguendo l’esempio della Corea del Sud, l’obiettivo sarà tracciare in modo digitale i pazienti affetti da Covid-19, e gli asintomatici, allo scopo di circoscrivere i focolai. Questo sarà possibile grazie a tecnologie digitali di contact tracing e mappe geo referenziate di alta precisione così da ricostruire – attraverso i telefonini – la catena di contatti dei contagiati e prevenire le trasmissioni di contagio. Questo permetterà di identificare nuovi possibili focolai, ovvero darà alle autorità informazioni preventive e predittive.
Ad oggi, una cosa è certa: terminata l’emergenza Covid-19 ci sarà una società da ricostruire, da ripensare o meglio da ridisegnare. Ne sono convinti tutti, economisti, accademici, politici, imprenditori, esperti di ogni settore. Perché il mondo sarà necessariamente diverso, saranno cambiati comportamenti individuali e collettivi, nuove idee si affermeranno, consumi e stili di vita muteranno, saranno emersi nuovi paradigmi e altri saranno per sempre abbandonati. Serviranno soluzioni innovative, tecnologiche e di digitalizzazione da mettere al servizio delle persone, delle imprese, dei Governi nazionali e delle organizzazioni internazionali. In questo scenario che si aprirà, i Dati avranno un ruolo centrale.
L’ideogramma cinese che significa crisi si compone di due caratteri. Uno dei due significa opportunità.
Grazie alle nuove tecnologie la raccolta di Dati, per volume e per tipologia, cresce ogni mese a livelli esponenziali. Dati che non è più sufficiente raccogliere quanto monitorare, seguire, interpretare, dati da estrarre con intelligenza per supportare la società a evolvere, a cambiare, a migliorare la condizione umana. Che i Dati siano un punto cardine di ogni tipo di processo decisionale che voglia dirsi consapevole e sostenibile è oggi un assunto irrinunciabile, lo stesso rapporto Data Revolution delle Nazioni Unite afferma che “i dati sono la linfa vitale del processo decisionale e la materia prima per decidere in modo responsabile”. Grazie ai Dati abbiamo una possibilità di conoscere senza precedenti, a cominciare dalla protezione dell’ambiente e del nostro habitat naturale, mai come oggi così a rischio. Ma è possibile anche fare una cosa ulteriore, grazie ai dati, ovvero utilizzarli per immaginare qualcosa di nuovo, qualcosa che non esiste ancora e che potrà nascere dallo studio dei Dati stessi. In una frase, designing life by data.
Quali sono fattori che determinano lo sviluppo economico e il benessere in un certo paese o in dato periodo storico? Perché alcune società sono afflitte da violenza, repressione e conflitti? Perché alcune condizioni climatico ambientali innescano determinati cambiamenti sociali? La data science fornisce strumenti per interpretare i comportamenti di cittadini, gruppi, organizzazioni. È grazie ai dati che Alex Pentland, sociologo del MIT Media Lab e tra i massimi esperti al mondo di Data Science, ha potuto osservare come le reti sociali più efficienti sono quelle caratterizzate da un ricco flusso di idee e da meccanismi di apprendimento sociale ben funzionanti, e che gli incentivi meglio funzionanti non sono quelli individuali, ma quelli sociali. I dati si rivelano dunque molto importanti per interpretare e costruire nuovi scenari futuri, e in considerazione del loro grande valore essi vanno protetti, tutelati e resi fruibili (open data) nel miglior modo possibile.
Cosa fanno le imprese italiane? Benché in ritardo rispetto ad altri paesi, è cresciuto nel nostro paese il mercato dei Big Data Analytics: secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano nel 2019 il valore di mercato degli Analytics è stato 1,7 miliardi di euro, in crescita del 23% rispetto allo scorso anno. I maggiori investimenti hanno riguardato il settore bancario, il manifatturiero e il settore telco e media. Tuttavia, mancano le persone. Gli investimenti infatti potrebbero essere più cospicui in presenza di profili professionali in grado di gestire i progetti, Data Analyst, Data Engineer e Data Scientist, figure non di semplice reperibilità sul mercato e per i quali solo negli ultimi anni sono stati attivati dei corsi di laurea e Master ad hoc negli atenei italiani. Se dunque le imprese più strutturate hanno introdotto processi di sempre maggiore complessità in ottica data-driven, anche le PMI si stanno affacciando con sperimentazioni e progetti pilota, spesso supportate da consulenza esterna.
Al tempo stesso i principali vendor hanno portato sul mercato nuove soluzioni in grado di proteggere dati e processi cruciali, in modo agile e coerente attraverso tutto l’ecosistema IT aziendale. Se dunque i dati si rivelano essenziali – aumentando per quantità, qualità e rilevanza strategica – poiché dalla loro analisi avanzata si possono ricavare insight utili al business, non si può ignorare i rischi crescenti da corruzione o perdita di dati, con seri rischi di continuità operativa dell’impresa. Diventa così decisiva l’adozione di tecnologie e applicazioni innovative e aperte, e l’adozione di sistemi IT flessibili che abbiano una concezione più “intelligente” di data protection e dei dati archiviati, per soddisfare obiettivi di compliance e di business continuity.
Connettere i dati alle storie che rappresentano. Verso un nuovo umanesimo dei dati.
Tutto il bello dei Big Data, ma anche degli Small Data. Sì perché da ogni tipo di dato, anche quelli piccoli e personali, si possono ricavare informazioni utilissime per la nostra vita e la nostra comunità. Giorgia Lupi è una data and information designer tra le più conosciute e apprezzate al mondo. Classe 1982, Giorgia Lupi è cofondatrice di Accurat, si divide tra Milano e New York e le sue opere sono esposte in tutto il mondo e in Italia, in collaborazione con il Corriere della Sera, crea narrazioni visive con cui “traduce” al grande pubblico i dati degli articoli. Nei suoi disegni la Lupi si concentra sulla natura dei dati, sull’organizzazione dei dati e sui loro significati. Esplora il lato umanistico delle informazioni, connette i dati alle storie che rappresentano.
In un bellissimo e celebre speech a TEDx Giorgia Lupi spiega il senso del suo lavoro, ovvero partire dai dati per osservare storie, creare connessioni nuove, per studiare i comportamenti delle persone e disegnare nuovi modelli di comunità, ideare nuovi spazi di socialità, nuovi schemi di organizzazione della società, che tengano sì conto del nostro passato ma che disegnino un futuro più umano e più sostenibile. La crisi attuale richiede interventi radicali ma ci offre anche l’opportunità di impostare un’idea di società più sostenibile sul piano sociale, ambientale ed economico. La scienza dei dati potrà fornire un contributo decisivo. Serviranno umanesimo e intelligenze.