Poesia, musica, giornalismo: ritratto del poliedrico Ciro Andrea Piccinini

Poesia, musica, giornalismo: ritratto del poliedrico Ciro Andrea Piccinini

Ciro Andrea Piccinini è nostro collega da ormai diversi anni, una personalità caleidoscopica ed eccentrica che non smette mai di sorprenderci con le sue idee e la sua originalità.

 

CAP, l’acronimo con cui come preferisce firmarsi, è molto schivo a parlare di se stesso. Dopo varie sollecitazioni, ha accettato di condividere con noi qualche informazione a suo conto. Nato sul fiume Secchia al confine tra Modena e Reggio Emilia, Ciro si occupa di editoria da ormai 30 anni. Dal 2015, anno di fondazione di Edizioni thedotcompany, segue da vicino l’attività libraria, occupandosi in primo luogo della produzione cartacea dei vari titoli in uscita, e delle varie collane della casa editrice (un catalogo di circa 100 libri pubblicati).

Con Edizioni thedotcompany ha anche pubblicato lui stesso tre opere: “Tabula rosa, 77 variazioni senza tema né tempo” (2015), “Fabula postuma. 200 allegretti senza dio né io” (prima edizione 2017, seconda edizione 2018 con prefazione di Sergio Givone) e “Così amò Zarathustra. Testamento apocrifo di un inattuale” (2023).

 

In un lontano e glorioso passato ha collaborato con quotidiani e riviste, sia da cronista semi-serio che da rubrichista semi-ironico, e per vent’anni ha creato giornali locali freepress e persino un blog personale ad alta gradazione iconica.

 

Alcuni cenni biografici scritti di suo pugno per la quarta di copertina di un suo libro postumo parlano di lui come di un tipo “schivo per tarda vocazione, votato al sacrificio solitario e alla virtù del silenzio, che dorme poco e spesso male, che ama leggere le etichette delle bottiglie e i bugiardini dei medicinali, che da non-pianista di tanto in tanto si esibisce pubblicamente al pianoforte, che da adolescente suonava la batteria e oggi ha l’acufene, che ultimamente frequenta più animali domestici che donne selvatiche (forse perché più vicino all’androquiete che all’Antropocene), che è cresciuto guardando Fonzie e ascoltando Chopin, che gioca con le parole e spesso si prende gioco di loro, e che (se vogliamo parlare di etica estetica poetica, in una visione teorico-creativa che nell’ultima decade si è stabilizzata tra Heidegger e Jarrett) alla predica della verità scientifica preferisce la pratica della carità umana“.

 

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