La semplicità è la regola aurea della buona progettazione

La semplicità è la regola aurea della buona progettazione

“E ora che ne sarà del mio viaggio? Troppo accuratamente l’ho studiato senza saperne nulla. Un imprevisto è la sola speranza. Ma mi dicono ch’è una stoltezza dirselo”. Sono versi di Eugenio Montale. Ok: va bene la poesia, ma nella progettazione, inclusa anche e nondimeno la fase ideativa, c’è bisogno di struttura, di un quadro chiaro che vada nella direzione di una concretezza limpida, poi di un’efficacia realizzativa ed operativa a prova di, insomma di solida e “in-mediata” semplicità più che di ricercatezza astrusa o percorribilità contorta.

 

Parliamo infatti di user experience, user interface, user centered design, e quindi di interaction design design thinking: cioè a dire che il primo se non principale requisito che viene prefissato a monte della progettazione di un servizio – roba prosaica, che lascia poco spazio all’improvvisazione e all’interpretazione – è che sia “semplice”, dunque univocamente comprensibile per non dire fruibile, vale a dire utilizzabile nel minor tempo e, spesso, con il minor sforzo possibile, laddove “minore” significa innanzitutto migliore, calibrato, appropriato. E non si “costruisce bene” se prima non c’è – nell’ordine – una buona definizione, ideazione e valutazione di ciò che si sta per fare al fine di ottenere qualcosa. Parafrasando un celebre film di Woody Allen, potremmo dire “basta che funzioni”, sì, ma che “funzioni” al meglio.

Ebbene: il concetto di semplicità (argomento enorme) è soggetto a molteplici interpretazioni e può apparire come un obiettivo irraggiungibile quando si ha a che fare con una elevata complessità. Progettare un servizio, infatti, vuol dire dover gestire input e output, più touchpoint (digitali o fisici/digitali), flussi di dati e informazioni, ovvero molteplici processi che si influenzano tra loro, più categorie di attori che intervengono in momenti diversi e con specifiche azioni da portare a termine. Già, roba da far implallidire persino un premio Nobel come Montale… Da cui tre motti da non sottovalutare; estesi alla usabilità, verissimo, ma che servono a rendere il senso generale che ci sentiamo di sottoporre a chi ci legge: 1) l’usabile fa il monaco, 2) usabilità, ti avessi preso prima 3) usabili e arruolati!

Detto ciò: come orientarsi nel contesto di questa complessità, governandola al meglio? E ancora: cosa è “semplice” per un utente? Vale anche qui il motto “less is more”?

La richiesta di semplicità è la richiesta di ottenere risposta ad una specifica esigenza impiegando lo sforzo reputato consono o giusto da spendere. Pertanto la “semplicità” è l’output (l’obiettivo) di un processo che prevede:

  • Comprendere l’obiettivo dell’utente e se/come già lo raggiunge o cerca di raggiungerlo;
  • Ideare soluzioni che comunichino in modo inequivocabile come devono essere utilizzate;
  • Testare le soluzioni ideate per verificare se la proposta sia effettivamente vantaggiosa per i destinatari a cui è rivolta;
  • Individuare criteri per misurare le performance della soluzione, al fine di monitorarne la validità e comprendere dove e come sia necessario apportare miglioramenti nel tempo.

Dici poco tu! La “semplicità” si ottiene quindi quando tutti gli step necessari per la fruizione di un servizio sono posti nell’ordine che meglio aderisce al flusso di azioni che l’utente metterebbe in atto per raggiungere il proprio obiettivo ed è la naturale conseguenza di un processo progettuale di continua ricerca sugli utenti, test ed evoluzione delle soluzioni.

Tra i diversi aspetti che intervengono nel determinare il grado di complessità/semplicità di un sistema dal punto di vista dell’esperienza d’uso, può essere utile ragionare su alcuni esempi.

 

l’architettura dell’informazione, ovvero secondo quale gerarchia, priorità e forma sono organizzati funzioni e contenuti all’interno di un sistema.

 

Secondo la Legge di Hick, esiste una relazione tra il tempo necessario per un utente ad effettuare una scelta, il numero di alternative disponibili e la modalità secondo cui esse sono organizzate. Quando il numero delle opzioni disponibili è eccessivo oppure i contenuti sono classificati secondo criteri che non rispecchiano il processo decisionale dell’utente, lo sforzo cognitivo aumenta e il rischio è che si rinunci alla scelta stessa.

Pensiamo, per esempio, alla homepage di una piattaforma di contenuti video on demand. L’utente dispone di una grande varietà di opzioni tra i contenuti di proprio interesse e, allo stesso tempo, può fare molta fatica a decidere che cosa guardare.

La funzione “Riproduci qualcosa”, recentemente introdotta da Netflix, aiuta l’utente ad orientarsi nella moltitudine di contenuti disponibili: è la piattaforma, in questo caso, a “semplificare” il processo decisionale, facendosi carico di selezionare ulteriormente i contenuti e di proporli uno alla volta sullo schermo.

Suggerimenti:

  • organizzare i contenuti secondo criteri di coerenza con lo scopo del sistema stesso;
  • creare raggruppamenti di argomenti, dove necessario mostrando esempi in anteprima dei livelli di dettaglio;
  • personalizzare il contenuto mostrato sulle abitudini e sulle preferenze dell’utente.

Per saperne di più:

Legge di Hick

Barry Scwartz, “Il paradosso della scelta”

 

la gestione degli errori, ovvero la progettazione di appropriati feedback rispetto agli ostacoli che un utente può incontrare nello svolgimento di un compito e la fornitura di adeguate istruzioni per procedere.

 

Nielsen Norman Group indica 5 specifiche linee guida per messaggi di errore user-friendly:

  • sono esplicitati: l’utente ha evidenza che è avvenuto o che rischia di avvenire un errore;
  • sono comprensibili per l’utente: l’errore è scritto in modo tale che l’utente comprenda cosa è andato storto senza dover fare obbligatoriamente riferimento ad un tecnico;
  • sono “comprensivi”: il messaggio di errore non mette l’utente nelle condizioni di sentirsi rimproverato o di aver sbagliato, ma lo conforta e lo aiuta;
  • sono precisi: è spiegato in modo chiaro che tipo di evento è avvenuto;
  • sono costruttivi: il messaggio di errore indica all’utente come risolvere l’errore stesso e procedere nell’esecuzione di ciò che deve portare a termine.

Un esempio di ambito di applicazione sono le pagine di errore 404. La pagina su cui mi aspettavo di atterrare non esiste, che faccio ora? Una buona progettazione del messaggio di errore prevede l’integrazione di una “via d’uscita” che permetta all’utente di raggiungere il proprio obiettivo, ad esempio attraverso un link di reindirizzamento oppure fornendo accesso al servizio di assistenza, come in questo caso (https://slack.com/404)

Per saperne di più:

Error Message Guidelines

 

la rappresentazione di dati: quando si tratta di dati, la complessità fisiologica data dalla quantità, dalla frammentazione e dalla necessità di creare correlazioni ed individuare significati può essere ridotta tramite una efficace progettazione di come i dati stessi sono visualizzati e comunicati.

 

In questo articolo (Interaction Design Foundation) Interaction Design Foundation indica i 5 step per progettare la visualizzazione di dati in modo efficace, partendo dall’individuare lo scopo e le modalità con cui l’utente utilizzerà i dati per arrivare alla fine a definire che caratteristiche e funzioni è necessario che la rappresentazione abbia per essere efficace.

 

Abbiamo illustrato schematicamente il primo punto di quello che è il nostro “manifesto” per la buona progettazione di un servizio digitale evoluto. Nelle prossime puntate, sempre su questo blog, parleremo delle altre regole auree cui attenersi per centrare l’obiettivo.